[Pokémon] Riccioli d'oro
Aug. 21st, 2010 11:43 am![[identity profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/openid.png)
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Fandom: Pocket Monsters (Pokémon)
Titolo: Riccioli d’oro
Rating: Pg
Conto Parole: 2843 (
fiumidiparole )
Personaggi: Satoshi, Shigeru
Avvertimenti: Shounen Ai
Note: Scritta per il HMS Maourotopia Treasure Hunt, tappa Isola Fiocchetto. Perché? Perché Satoshi si veste da donna e ha un enorme fiocco rosa in testa, voi non pensate sia abbastanza umiliante?XD Comunque BUON DIO, erano due anni che non scrivevo fic di Pokémon, da bambina ero così ossessionata che in due anni ne avevo scritto tipo una trentina XDDD *rotola via forever*Giocare ad Anima Argento non aiuta la mia psiche a rimanere stabile. *riempie la community di Magikarp totalmente inutili*. Volevo scrivere una fic con Satoko (Sapete che Satoshi – Ash per chi non sa i nomi originali – ha il vizietto del crossdressing? Eh beh, c’è chi ruba, c’è chi fuma, c’è chi si veste da donna.), ed eccola qua XD Spero vi piaccia, è un po’ tonta – come Satoshi – ma mi sono divertita tanto a scriverla XDD
Riassunto: Conta fino a cento, batte il piede sul pavimento e aspetta di sentire il rumore della porta di casa.
È la sua occasione, o un modo di Dio per dirgli che la sua fine sta arrivando e se arriverà sarà solo per mano sua?
Con la coda dell’occhio, vede la faccia di Pikachu piegata in curiosità, e in verità un pochino vorrebbe imitarlo, perché non capisce quale forza superiore lo stia obbligando a prendere finalmente quella maledetta gruccia e a deglutire mentre gli occhi scivolano sul colletto bianco, sulla gonna lunga e ampia, sul fiocco blu.
“Non lo sto facendo davvero…”
E invece sì, ed il tutto è anche abbastanza ridicolo.

Riccioli d’oro
Tiene ancora le maniglie delle ante tra le mani, le dita incastrate nei semianelli rossi. Il suo armadio non è così variegato, alla fine ha due paia di ogni cosa che abbia mai indossato.
Ma non è quello il problema.
In mezzo a tutto quel blu – non ha ancora capito come sia possibile quella preminenza, visto che il suo colore preferito è il rosso, il blu è sempre stato quello del suo papà – l’arancio che scivola toccando il pavimento è quasi un pugno nell’occhio.
Pikachu si rotola nel letto e lo guarda di tanto in tanto, emettendo versi concitati quando la brezza fresca entra dalla finestra e gli solletica il pelo.
Vorrebbe essere al suo posto.
Si volta a guardarlo, torna all’armadio, sospira.
Si sente un emerito idiota – non che sia mai stato particolarmente intelligente, a detta di molteplici qualcuno.
Questa però le supera tutte.
Non è nemmeno sicuro di quello che prova, perché dovrebbe toccare il fondo facendo una cosa del genere? Sarebbe totalmente inutile, poi.
Ma ad ignorare le strette allo stomaco comincia a fare fatica, nemmeno una bella passata di tuono shock lo aiuta a stare meglio, ormai. Colpa dell’abitudine, immagina.
E pensare che quando era partito per il suo viaggio di formazione non faceva che urlargli addosso tutto il suo odio, soltanto perché era un passo più avanti di lui.
Che razza di deficiente.
Non sarebbe meglio un Sfidiamoci e se vinco io farai tutto quello che voglio? - tipo che so, provare a dirmi qualcosa di carino e sorridere e poi lanciarmi una pokéball in testa e dirmi che non vuoi che io cambi?
… ok, sta decisamente male.
Quando allunga la mano sulla gruccia sobbalza, sentendo il cigolio della porta seguito a ruota libera dalla voce della mamma, la testa che fa capolino dal legno bianco.
“Satoshi, vado a fare la spesa!”
Porta le mani dietro la schiena e si allontana di almeno due passi da quel maledetto buco. “D’accordo mamma!”
“Ci metto un po’, passo a portare qualcosa al professore, ok?”
“Va bene…”
Esci esci esci esci.
“Allora vado, a dopo tesoro.”
Conta fino a cento, batte il piede sul pavimento e aspetta di sentire il rumore della porta di casa.
È la sua occasione, o un modo di Dio per dirgli che la sua fine sta arrivando e se arriverà sarà solo per mano sua?
Con la coda dell’occhio, vede la faccia di Pikachu piegata in curiosità, e in verità un pochino vorrebbe imitarlo, perché non capisce quale forza superiore lo stia obbligando a prendere finalmente quella maledetta gruccia e a deglutire mentre gli occhi scivolano sul colletto bianco, sulla gonna lunga e ampia, sul fiocco blu.
“Non lo sto facendo davvero…”
E invece sì, ed il tutto è anche abbastanza ridicolo.
A pensarci bene, perché non ha buttato quell’orrendo abito quando ne ha avuto l’occasione? Oltretutto è roba di quei due deficienti di Musashi e Kojirou, lui non avrebbe mai messo quella roba addosso e abbassarsi così al loro livello – forse è la scarsa presenza di suo padre e quella fin troppo attiva di Kojirou ad averlo deviato?
Bella fregatura.
“Vorrei qualcosa mi fulminasse in questo istante.”
Qualcuno esaudisce la sua richiesta. Anche se lui non è che volesse davvero sentirsi attraversato da chili di watt e watt e ancora watt.
Tanto ormai.
È evidente che il tuono shock di Pikachu non sia servito a niente, perché ora è in bagno a sistemare le forcine e a mettersi la retina sui capelli per non far scivolare qualche ciocca nera sotto quell’ammasso di boccoli biondi che lo fissa da sopra la sedia.
È solo che non avrà altre occasioni per tentare – è accontentarsi di un surrogato, di una finta, ma tanto la sua unica paura è di essere scoperto e preso in giro per sempre, mica di sentire il suo cuore spezzarsi a metà.
Eh!
“Sono pazzo.” Dice mentre nasconde i suoi capelli veri dietro quelli tarocchi, sospirando.
Ciao Satoko. Era tanto che non ci si vedeva.
Si guarda allo specchio sistemandosi il fiocco rosa sulla zucca – ma esiste qualcosa di più ridicolo? -, si china sul lavandino, si sistema persino le sopracciglia – decolorante, cinque minuti, castano rossiccio ma meglio di niente.
Come lo spiegherà alla mamma? Mi sono bruciato preparando il tè. Come accidenti ha fatto? Non lo so.
Raggiunge l’apice del disgusto quando prende il profumo preferito di sua madre e se ne versa due gocce sul polso e dietro le orecchie – chissà, magari quello si ricorda l’odore del suo deodorante e lo scopre subito, e allora sai che fregatura.
Satoshi, lo zimbello della città. Figo.
Conoscendo lui, lo avrebbero saputo tutti in poco tempo, e lui avrebbe dovuto cambiare nome, casa, nazionalità.
“Vado, non penso ci metterò molto.” dice al suo compagno, sistemandosi il fiocco sulla testa e scappando fuori alla velocità della luce.
Fa così caldo che sente la base del collo umida di sudore. In fondo sa benissimo che è tempo sprecato, che non lo guarderà mai, che…
Forse è meglio tornare a casa. Davvero.
Cammina guardandosi attorno come se tutti non facessero che fissarlo, giusto perché è una novità. In verità tutti la ignorano – o almeno ci provano. Certo non è facile non notare una ragazza bionda con un vestito color arancio. È tutto fuorché anonimo.
Si passa una mano sulla fronte, sospirando. Sente le pokéball premere sulla vita, se le è portate dietro giusto per sicurezza. Sia mai che lo scoprano, un colpo di ipnosi e tutto risolto.
… gli fa quasi ridere l’idea di avere una cintura in vita senza pantaloni da sostenere.
Alla fine, continua a camminare senza pensare più di tanto a cosa effettivamente stia andando incontro. Comincia a sentire le voci dei suoi Tauros che scalciano oltre il recinto nell’area naturale creata dal professor Ookido, sente un fischiettare leggero e ogni tanto un fatto detto con soddisfazione.
Oh, ciao stretta allo stomaco.
Il cervello urla di tornare a casa, i piedi non si muovono, il cuore dice ormai sei quasi totalmente nella merda, entraci del tutto e facciamola finita.
Vorrebbe fare la conta con le sue parti del corpo, ma non riesce a staccare le mani dal petto.
Ormai è nella merda. Insomma, se lo dice il suo cuore vuol dire che è vero.
Quindi tanto vale…
Azzarda un passo, due passi – cavolo, non è mai stato così difficile andargli incontro e parlargli. Di solito basta un urlo, il suo nome detto con disprezzo, una risata, una canna da pesca sulla riva del mare, una pokéball a metà, qualcosa.
Quel vestito e quella parrucca rendono le cose mille volte più difficili, e no, non è assolutamente bello.
Sospira.
Ce la può fare. Ha fatto cose ben peggiori che parlare con Shigeru, in tutta la sua vita. Questo non può essere peggio, no?
No?
Sì, accidenti.
Sente un brivido freddo salirgli lungo la schiena e gelargli il sul collo. Ha il braccio allungato, pronto a fare quella decina di passi che deciderà la sua sorte, ma quel deficiente giustamente deve rovinare tutto girandosi prima che lui riesca a dire a.
“A-A-A-“
… beh, ok. Almeno a è riuscito a dirlo.
Lui lo(la) guarda e sorride.
Ha già capito tutto? Ride già delle sue disgrazie quando l’unica cosa che è riuscito a fare è stato dire una stupida a?
“Hai bisogno di qualcosa?”
Si avvicina, istintivamente lui abbassa il braccio e lascia che la frangia bionda gli copra gli occhi.
Scuote la testa, senza dire più una parola. Bene, fantastico, non riesce nemmeno a guardarlo. Si vergogna di se stesso perché sente chiaramente la faccia prendere fuoco. Senza contare che ogni tanto il profumo della madre gli arriva al naso dritto come un pugno.
Guarda il pavimento, guarda le sue gambe, guarda le ginocchia piegarsi appena e fa l’errore di sollevare il viso e trovarselo di fronte, lì che lo guarda senza capire. “Stai bene?”
Lo odia. Altro che avere la stessa età, deve aver truccato la sua carta d’identità, il certificato di nascita, qualunque cosa, perché non può avere i suoi anni ed essere alto dieci centimetri più di lui, è innaturale!
Lo fa sentire in soggezione.
Dai, Satosh- Satoko, dagli un calcio nelle palle e ibernati nel Monte Luna fino alla fine del mondo.
“Sì, grazie.”
Questa vocina da dove esce?
“Sicura? Sei di queste parti?”
Satoshi ha quasi paura di essere stato scambiato per una bambina. Ma in fondo è un bene, no?
Evita di farsi scoprire dopo i primi tre minuti di conversazione, è una gran cosa!
“No. Vengo da Celadon.”
Che un po’ in fondo è la verità. Effettivamente, se Erika non avesse rotto le scatole con i suoi stupidi profumi, al tempo che fu, sicuramente ora non si starebbe mettendo in ridicolo davanti al mondo.
(Il suo, quello piccolino dai capelli castani e gli occhi verdi. Oh cielo, è arrossito di nuovo. Si ucciderebbe da solo per aver pensato una cosa del genere.)
“Sono qui… in vacanza con i miei genitori, mi sono allontanata un momento e ora non li trovo più.”
Che scuse da bambina del cavolo.
Forse Shigeru è più stupido di lui, perché abbocca, sorride e gli accarezza la testa – e l’unico pensiero che gli trapassa la testa è che la parrucca non gli scivoli dalla zucca e riveli il misterioso arcano.
Ansia.
“Senti,” dice, portandosi le mani ai fianchi, una cartella piena di segni in una delle due. “Io devo finire qui, ma non mi manca tanto. Vieni con me, poi ti aiuto a cercare i tuoi genitori, va bene…?”
Cos’è quella sospensione…?
No. No dai. Non deve per forza sapere il suo-
“Satoko.”
“Che nome grazioso. Io sono Shigeru, vieni con me allora?”
Gli tende la mano, lui la guarda.
Arrossisce e pensa che non ci sia altro da fare.
Ha la mano calda. È piacevole.
È un guaio.
“Che lavoro è, il tuo?”
“Aiuto mio nonno nelle sue ricerche, e controllo che i pokémon dei suoi allenatori siano sempre in buona salute.”
“Deve essere faticoso.”
“Un po’, ma anche è bello. Insomma, di certo non è un lavoro noioso.”
Ride, ed è una risata che non è proprio abituato a sentire.
Adesso, sulla staccionata, si sente decisamente meglio. A falciare l’aria con le gambe, a far finta di avere qualche anno in meno, tornare ai dieci anni in cui le strade si sono divise, ai cinque quando andavano al cinema insieme e lui lo disturbava lanciandogli addosso pop corn.
Ha il cuore che gli preme sul petto, ma in fondo cosa si aspettava? Che stesse tranquillo per tutta la durata del suo vaneggio ormainonpiùmentale?
“Piacerebbe anche a me.”
Guarda la prateria, pokémon d’erba che rotolano felici, altre bestie che giocano o si riposano beandosi della luce del tramonto.
Un tauros lo guarda e si avvicina lentamente, gli annusa la mano, poggia la testa sulle sue gambe per una coccola.
Meno male che non sa usare il tuono shock.
“Gli stai simpatica.”
Lui si limita a ridere e ad accarezzare la testa del pokémon – gli fa strano essere una ragazza.
Lo rende docile.
Shigeru sicuramente non vorrebbe mai sapere che quel Tauros in realtà è suo. Più che altro spera che il resto della mandria non lo segua e decida proprio oggi di avere la sua dose di coccole. Satoko lo guarda e sospira, ancora.
Vuole tornare a casa. Non è stato di nessun aiuto prendere in prestito la sua seconda identità, ha soltanto capito che ha qualche problema a interagire con lui per via di quel batticuore da bambina innamorata che gli viene… quando lo… vede.
Oh mio Dio.
Ha trovato la parola chiave.
“Bene, ho finito!”
E non lo dire con quel sorriso, accidenti a te.
“Io direi che possiamo passare prima a casa a bere un bicchiere d’acqua, e poi andiamo a cercare i tuoi eh, Satoko?”
Riesce a mettere le cose in modo da non potergli dire no. Prende la mano che gli è stata offerta e scende giù dalla staccionata, ringraziandola per non aver preso qualche lembo della gonna con sé e aver così evitato una delle sue tante possibili morti.
I bicchieri tintinnano sul marmo bianco, riesce a sentirli anche se lui è in un’altra stanza.
Nell’attesa fissa intensamente lo schermo enorme e spento della televisione, molestando un lembo del suo vestito senza pietà. Vuole tornare a casa.
Non gli piace aver pensato quello che ha pensato, lui non è una bambina, insomma.
… no, non è questo che non gli va giù, è la parolina dopo che lo ha sconvolto.
Chiunque ci sarebbe arrivato senza dovresti umiliare vestendosi da donna, ma ovviamente lui va contro corrente, altrimenti non si chiamerebbe Satoshi.
Adesso che è seduto sul sofà, quando Shigeru entra gli sembra improvvisamente più alto. Lui gli si avvicina e gli porge il bicchiere, lui non riesce a fare altro che bisbigliare un grazie stretto stretto tra le labbra.
Chissà perché continua a sorridergli.
“Sei preoccupata?”
Sì, che tu possa scoprire chi sono e prendermi per il culo per tutta la vita e oltre.
“Un po’.”
Sorseggia, l’acqua fresca scivola per la gola e sbatte contro il suo cuore caldo.
“Shigeru…”
L’acqua non è un alcolico, vero? No perché sto per fare una stronzata.
“Dimmi.”
“Tu… ti sei mai innamorato?”
Lo vede benissimo, che si sta trattenendo per non sputare l’acqua che ha in bocca. Quando riesce a mandare giù tutto – bleargh, un po’ è tornato al bicchiere! – sgrana gli occhi e la fissa, colto alla sprovvista.
Poi scuote la testa e ride. “Sì.”
Ahia.
Vedete perché è una stronzata? Perché ha rivoltato la parola chiave che ha scoperto poco fa contro se stesso, e no, non è una cosa da persone intelligenti.
Dovrebbe dire a Kasumi di dargli dell’idiota un po’ più spesso, giusto perché gli si imprima per bene nella mente.
“Davvero?”
“Sì, di una persona un po’ stupida, in verità.”
Gli si spalancano gli occhi, così, da soli. Lo sa perché improvvisamente vede un po’ peggio. Shigeru sta guardando il suo bicchiere, probabilmente sta pensando che da lì non vuole più bere niente, visto che ci ha poco elegantemente sputato dentro.
Sorride.
Un battito che se ne va e non tornerà mai più.
“Però è bella. È sempre dolce e carina con me. Mi riempie di regali, mi fa le coccole, quando ero un allenatore mi seguiva sempre, agitava sempre le mani qua e là per fare il tifo, avresti dovuto vederla.”
“Uhm.”
“È proprio una bella persona.”
Finché era solo stupida poteva avere anche una possibilità, ma lui non era mai stato dolce e carino con lui. Forse appena nato, ma da quanto racconta sua madre la prima cosa che ha fatto quando l’ha visto è stata tirargli il naso. Regali e coccole? E quando avrebbe potuto? È quasi sicuro che se sapesse la verità, Shigeru avrebbe materiale per prenderlo per i fondelli da qui all’eternità e senza via di scampo!
… e le mani le agitava giusto per dare enfasi ai suoi insulti.
Ok, questo gli spezza un po’ il suo cuoricino.
Un pochino, eh.
“Come mai questa domanda?”
“No, così… andiamo?”
Ride, annuisce e si alza. Si ferma davanti a lui e lo fa sentire ancora più piccolo di quello che già è.
“Ok, andiamo.”
Satoko è troppo impacciata nei movimenti, forse dovrebbe iniziare a mettere le minigonne. Ci mette due minuti a mettersi in piedi perché la gonna si è incastrata tra i cuscini del divano, e quando finalmente riesce a reggersi sulle sue gambe, Shigeru si lascia andare ed occupa il suo posto.
Ma che diavolo…?
“… Shigeru?”
Anziché rispondergli, allunga le mani sulla sua vita spigolosa e lo obbliga gentilmente a sedersi sulle sue gambe.
E i miei poveri genitori? Shigeru non ti facevo così maniaco. Sei una vergogna, mi conosci da un’ora, esagerando!
Satoshi lo guarda, e quando lui si apre in un sorriso, non riesce ad evitare di arrossire.
Sta arrossendo decisamente troppo.
“La persona che mi piace…” comincia, e gli da un bacino lì, all’angolo delle labbra – Satoshi lo sente distintamente ridere sotto i baffi, peccato che a lui stia per venire un infarto o qualcosa del genere. “Non è un po’ stupida, lo è decisamente.”
Muove la mano sui suoi capelli, prendendo una ciocca e arrotolandola col dito. La tira appena e la parrucca scivola via lentamente, bloccandosi per qualche secondo tra le forcine e la sua spalla – in fondo, non è abituato a mettersi quella roba in testa, non era nemmeno sicuro che avrebbe tenuto così a lungo. “Fa cose strane e si mette vestiti strani. Sicuramente ha delle strane tendenze.”
Gli toglie il retino, lascia che le forcine scivolino piano sulle sue dita, e poi gli scompiglia i capelli, tanto la sua testa è sempre stata un po’ un casino, dentro come fuori.
“Ah,e non è capace di fare qualcosa in gran segreto senza farsi scoprire. In quello è decisamente un’inetta. E si ingelosisce con nulla.”
Gonfia le guance e incrocia le braccia sul petto, decidendo in quel momento di non rivolgergli mai mai mai più la parola. Se lo merita, e diamine, lo prende in giro!
“Ma alla fine, è la persona che mi piace, e quindi va bene così, no? Satoko?”
Gli prende una guancia e gliela tira, lui stizzito non riesce a far altro che afferrargli la mano e allontanarla dalla sua faccia prima che diventi ancora più rossa, corredando il tutto con la cosa che sa fare meglio.
“Deficiente.”
Insultarlo.
“Anche io ti amo.”
Si gela a sentire quelle parole, e lui ne approfitta per baciarlo.
Shigeru è caldo nella bocca quanto nelle mani, lo scioglie e lo rilassa anche se vorrebbe massacrarlo di botte senza una ragione precisa. Sente le sue mani stringerlo in vita, e lui non fa altro che farsi guidare dal cuore e ricambiare l’abbraccio, sentendosi finalmente meglio.
La parrucca è scivolata in terra, Satoko dorme e non ha intenzione di svegliarsi, ma in fondo pazienza.
I suoi genitori aspetteranno ancora un po’ prima di rivedere la loro bambina.
Titolo: Riccioli d’oro
Rating: Pg
Conto Parole: 2843 (
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Personaggi: Satoshi, Shigeru
Avvertimenti: Shounen Ai
Note: Scritta per il HMS Maourotopia Treasure Hunt, tappa Isola Fiocchetto. Perché? Perché Satoshi si veste da donna e ha un enorme fiocco rosa in testa, voi non pensate sia abbastanza umiliante?XD Comunque BUON DIO, erano due anni che non scrivevo fic di Pokémon, da bambina ero così ossessionata che in due anni ne avevo scritto tipo una trentina XDDD *rotola via forever*Giocare ad Anima Argento non aiuta la mia psiche a rimanere stabile. *riempie la community di Magikarp totalmente inutili*. Volevo scrivere una fic con Satoko (Sapete che Satoshi – Ash per chi non sa i nomi originali – ha il vizietto del crossdressing? Eh beh, c’è chi ruba, c’è chi fuma, c’è chi si veste da donna.), ed eccola qua XD Spero vi piaccia, è un po’ tonta – come Satoshi – ma mi sono divertita tanto a scriverla XDD
Riassunto: Conta fino a cento, batte il piede sul pavimento e aspetta di sentire il rumore della porta di casa.
È la sua occasione, o un modo di Dio per dirgli che la sua fine sta arrivando e se arriverà sarà solo per mano sua?
Con la coda dell’occhio, vede la faccia di Pikachu piegata in curiosità, e in verità un pochino vorrebbe imitarlo, perché non capisce quale forza superiore lo stia obbligando a prendere finalmente quella maledetta gruccia e a deglutire mentre gli occhi scivolano sul colletto bianco, sulla gonna lunga e ampia, sul fiocco blu.
“Non lo sto facendo davvero…”
E invece sì, ed il tutto è anche abbastanza ridicolo.

Riccioli d’oro
Tiene ancora le maniglie delle ante tra le mani, le dita incastrate nei semianelli rossi. Il suo armadio non è così variegato, alla fine ha due paia di ogni cosa che abbia mai indossato.
Ma non è quello il problema.
In mezzo a tutto quel blu – non ha ancora capito come sia possibile quella preminenza, visto che il suo colore preferito è il rosso, il blu è sempre stato quello del suo papà – l’arancio che scivola toccando il pavimento è quasi un pugno nell’occhio.
Pikachu si rotola nel letto e lo guarda di tanto in tanto, emettendo versi concitati quando la brezza fresca entra dalla finestra e gli solletica il pelo.
Vorrebbe essere al suo posto.
Si volta a guardarlo, torna all’armadio, sospira.
Si sente un emerito idiota – non che sia mai stato particolarmente intelligente, a detta di molteplici qualcuno.
Questa però le supera tutte.
Non è nemmeno sicuro di quello che prova, perché dovrebbe toccare il fondo facendo una cosa del genere? Sarebbe totalmente inutile, poi.
Ma ad ignorare le strette allo stomaco comincia a fare fatica, nemmeno una bella passata di tuono shock lo aiuta a stare meglio, ormai. Colpa dell’abitudine, immagina.
E pensare che quando era partito per il suo viaggio di formazione non faceva che urlargli addosso tutto il suo odio, soltanto perché era un passo più avanti di lui.
Che razza di deficiente.
Non sarebbe meglio un Sfidiamoci e se vinco io farai tutto quello che voglio? - tipo che so, provare a dirmi qualcosa di carino e sorridere e poi lanciarmi una pokéball in testa e dirmi che non vuoi che io cambi?
… ok, sta decisamente male.
Quando allunga la mano sulla gruccia sobbalza, sentendo il cigolio della porta seguito a ruota libera dalla voce della mamma, la testa che fa capolino dal legno bianco.
“Satoshi, vado a fare la spesa!”
Porta le mani dietro la schiena e si allontana di almeno due passi da quel maledetto buco. “D’accordo mamma!”
“Ci metto un po’, passo a portare qualcosa al professore, ok?”
“Va bene…”
Esci esci esci esci.
“Allora vado, a dopo tesoro.”
Conta fino a cento, batte il piede sul pavimento e aspetta di sentire il rumore della porta di casa.
È la sua occasione, o un modo di Dio per dirgli che la sua fine sta arrivando e se arriverà sarà solo per mano sua?
Con la coda dell’occhio, vede la faccia di Pikachu piegata in curiosità, e in verità un pochino vorrebbe imitarlo, perché non capisce quale forza superiore lo stia obbligando a prendere finalmente quella maledetta gruccia e a deglutire mentre gli occhi scivolano sul colletto bianco, sulla gonna lunga e ampia, sul fiocco blu.
“Non lo sto facendo davvero…”
E invece sì, ed il tutto è anche abbastanza ridicolo.
A pensarci bene, perché non ha buttato quell’orrendo abito quando ne ha avuto l’occasione? Oltretutto è roba di quei due deficienti di Musashi e Kojirou, lui non avrebbe mai messo quella roba addosso e abbassarsi così al loro livello – forse è la scarsa presenza di suo padre e quella fin troppo attiva di Kojirou ad averlo deviato?
Bella fregatura.
“Vorrei qualcosa mi fulminasse in questo istante.”
Qualcuno esaudisce la sua richiesta. Anche se lui non è che volesse davvero sentirsi attraversato da chili di watt e watt e ancora watt.
Tanto ormai.
È evidente che il tuono shock di Pikachu non sia servito a niente, perché ora è in bagno a sistemare le forcine e a mettersi la retina sui capelli per non far scivolare qualche ciocca nera sotto quell’ammasso di boccoli biondi che lo fissa da sopra la sedia.
È solo che non avrà altre occasioni per tentare – è accontentarsi di un surrogato, di una finta, ma tanto la sua unica paura è di essere scoperto e preso in giro per sempre, mica di sentire il suo cuore spezzarsi a metà.
Eh!
“Sono pazzo.” Dice mentre nasconde i suoi capelli veri dietro quelli tarocchi, sospirando.
Ciao Satoko. Era tanto che non ci si vedeva.
Si guarda allo specchio sistemandosi il fiocco rosa sulla zucca – ma esiste qualcosa di più ridicolo? -, si china sul lavandino, si sistema persino le sopracciglia – decolorante, cinque minuti, castano rossiccio ma meglio di niente.
Come lo spiegherà alla mamma? Mi sono bruciato preparando il tè. Come accidenti ha fatto? Non lo so.
Raggiunge l’apice del disgusto quando prende il profumo preferito di sua madre e se ne versa due gocce sul polso e dietro le orecchie – chissà, magari quello si ricorda l’odore del suo deodorante e lo scopre subito, e allora sai che fregatura.
Satoshi, lo zimbello della città. Figo.
Conoscendo lui, lo avrebbero saputo tutti in poco tempo, e lui avrebbe dovuto cambiare nome, casa, nazionalità.
“Vado, non penso ci metterò molto.” dice al suo compagno, sistemandosi il fiocco sulla testa e scappando fuori alla velocità della luce.
Fa così caldo che sente la base del collo umida di sudore. In fondo sa benissimo che è tempo sprecato, che non lo guarderà mai, che…
Forse è meglio tornare a casa. Davvero.
Cammina guardandosi attorno come se tutti non facessero che fissarlo, giusto perché è una novità. In verità tutti la ignorano – o almeno ci provano. Certo non è facile non notare una ragazza bionda con un vestito color arancio. È tutto fuorché anonimo.
Si passa una mano sulla fronte, sospirando. Sente le pokéball premere sulla vita, se le è portate dietro giusto per sicurezza. Sia mai che lo scoprano, un colpo di ipnosi e tutto risolto.
… gli fa quasi ridere l’idea di avere una cintura in vita senza pantaloni da sostenere.
Alla fine, continua a camminare senza pensare più di tanto a cosa effettivamente stia andando incontro. Comincia a sentire le voci dei suoi Tauros che scalciano oltre il recinto nell’area naturale creata dal professor Ookido, sente un fischiettare leggero e ogni tanto un fatto detto con soddisfazione.
Oh, ciao stretta allo stomaco.
Il cervello urla di tornare a casa, i piedi non si muovono, il cuore dice ormai sei quasi totalmente nella merda, entraci del tutto e facciamola finita.
Vorrebbe fare la conta con le sue parti del corpo, ma non riesce a staccare le mani dal petto.
Ormai è nella merda. Insomma, se lo dice il suo cuore vuol dire che è vero.
Quindi tanto vale…
Azzarda un passo, due passi – cavolo, non è mai stato così difficile andargli incontro e parlargli. Di solito basta un urlo, il suo nome detto con disprezzo, una risata, una canna da pesca sulla riva del mare, una pokéball a metà, qualcosa.
Quel vestito e quella parrucca rendono le cose mille volte più difficili, e no, non è assolutamente bello.
Sospira.
Ce la può fare. Ha fatto cose ben peggiori che parlare con Shigeru, in tutta la sua vita. Questo non può essere peggio, no?
No?
Sì, accidenti.
Sente un brivido freddo salirgli lungo la schiena e gelargli il sul collo. Ha il braccio allungato, pronto a fare quella decina di passi che deciderà la sua sorte, ma quel deficiente giustamente deve rovinare tutto girandosi prima che lui riesca a dire a.
“A-A-A-“
… beh, ok. Almeno a è riuscito a dirlo.
Lui lo(la) guarda e sorride.
Ha già capito tutto? Ride già delle sue disgrazie quando l’unica cosa che è riuscito a fare è stato dire una stupida a?
“Hai bisogno di qualcosa?”
Si avvicina, istintivamente lui abbassa il braccio e lascia che la frangia bionda gli copra gli occhi.
Scuote la testa, senza dire più una parola. Bene, fantastico, non riesce nemmeno a guardarlo. Si vergogna di se stesso perché sente chiaramente la faccia prendere fuoco. Senza contare che ogni tanto il profumo della madre gli arriva al naso dritto come un pugno.
Guarda il pavimento, guarda le sue gambe, guarda le ginocchia piegarsi appena e fa l’errore di sollevare il viso e trovarselo di fronte, lì che lo guarda senza capire. “Stai bene?”
Lo odia. Altro che avere la stessa età, deve aver truccato la sua carta d’identità, il certificato di nascita, qualunque cosa, perché non può avere i suoi anni ed essere alto dieci centimetri più di lui, è innaturale!
Lo fa sentire in soggezione.
Dai, Satosh- Satoko, dagli un calcio nelle palle e ibernati nel Monte Luna fino alla fine del mondo.
“Sì, grazie.”
Questa vocina da dove esce?
“Sicura? Sei di queste parti?”
Satoshi ha quasi paura di essere stato scambiato per una bambina. Ma in fondo è un bene, no?
Evita di farsi scoprire dopo i primi tre minuti di conversazione, è una gran cosa!
“No. Vengo da Celadon.”
Che un po’ in fondo è la verità. Effettivamente, se Erika non avesse rotto le scatole con i suoi stupidi profumi, al tempo che fu, sicuramente ora non si starebbe mettendo in ridicolo davanti al mondo.
(Il suo, quello piccolino dai capelli castani e gli occhi verdi. Oh cielo, è arrossito di nuovo. Si ucciderebbe da solo per aver pensato una cosa del genere.)
“Sono qui… in vacanza con i miei genitori, mi sono allontanata un momento e ora non li trovo più.”
Che scuse da bambina del cavolo.
Forse Shigeru è più stupido di lui, perché abbocca, sorride e gli accarezza la testa – e l’unico pensiero che gli trapassa la testa è che la parrucca non gli scivoli dalla zucca e riveli il misterioso arcano.
Ansia.
“Senti,” dice, portandosi le mani ai fianchi, una cartella piena di segni in una delle due. “Io devo finire qui, ma non mi manca tanto. Vieni con me, poi ti aiuto a cercare i tuoi genitori, va bene…?”
Cos’è quella sospensione…?
No. No dai. Non deve per forza sapere il suo-
“Satoko.”
“Che nome grazioso. Io sono Shigeru, vieni con me allora?”
Gli tende la mano, lui la guarda.
Arrossisce e pensa che non ci sia altro da fare.
Ha la mano calda. È piacevole.
È un guaio.
“Che lavoro è, il tuo?”
“Aiuto mio nonno nelle sue ricerche, e controllo che i pokémon dei suoi allenatori siano sempre in buona salute.”
“Deve essere faticoso.”
“Un po’, ma anche è bello. Insomma, di certo non è un lavoro noioso.”
Ride, ed è una risata che non è proprio abituato a sentire.
Adesso, sulla staccionata, si sente decisamente meglio. A falciare l’aria con le gambe, a far finta di avere qualche anno in meno, tornare ai dieci anni in cui le strade si sono divise, ai cinque quando andavano al cinema insieme e lui lo disturbava lanciandogli addosso pop corn.
Ha il cuore che gli preme sul petto, ma in fondo cosa si aspettava? Che stesse tranquillo per tutta la durata del suo vaneggio ormainonpiùmentale?
“Piacerebbe anche a me.”
Guarda la prateria, pokémon d’erba che rotolano felici, altre bestie che giocano o si riposano beandosi della luce del tramonto.
Un tauros lo guarda e si avvicina lentamente, gli annusa la mano, poggia la testa sulle sue gambe per una coccola.
Meno male che non sa usare il tuono shock.
“Gli stai simpatica.”
Lui si limita a ridere e ad accarezzare la testa del pokémon – gli fa strano essere una ragazza.
Lo rende docile.
Shigeru sicuramente non vorrebbe mai sapere che quel Tauros in realtà è suo. Più che altro spera che il resto della mandria non lo segua e decida proprio oggi di avere la sua dose di coccole. Satoko lo guarda e sospira, ancora.
Vuole tornare a casa. Non è stato di nessun aiuto prendere in prestito la sua seconda identità, ha soltanto capito che ha qualche problema a interagire con lui per via di quel batticuore da bambina innamorata che gli viene… quando lo… vede.
Oh mio Dio.
Ha trovato la parola chiave.
“Bene, ho finito!”
E non lo dire con quel sorriso, accidenti a te.
“Io direi che possiamo passare prima a casa a bere un bicchiere d’acqua, e poi andiamo a cercare i tuoi eh, Satoko?”
Riesce a mettere le cose in modo da non potergli dire no. Prende la mano che gli è stata offerta e scende giù dalla staccionata, ringraziandola per non aver preso qualche lembo della gonna con sé e aver così evitato una delle sue tante possibili morti.
I bicchieri tintinnano sul marmo bianco, riesce a sentirli anche se lui è in un’altra stanza.
Nell’attesa fissa intensamente lo schermo enorme e spento della televisione, molestando un lembo del suo vestito senza pietà. Vuole tornare a casa.
Non gli piace aver pensato quello che ha pensato, lui non è una bambina, insomma.
… no, non è questo che non gli va giù, è la parolina dopo che lo ha sconvolto.
Chiunque ci sarebbe arrivato senza dovresti umiliare vestendosi da donna, ma ovviamente lui va contro corrente, altrimenti non si chiamerebbe Satoshi.
Adesso che è seduto sul sofà, quando Shigeru entra gli sembra improvvisamente più alto. Lui gli si avvicina e gli porge il bicchiere, lui non riesce a fare altro che bisbigliare un grazie stretto stretto tra le labbra.
Chissà perché continua a sorridergli.
“Sei preoccupata?”
Sì, che tu possa scoprire chi sono e prendermi per il culo per tutta la vita e oltre.
“Un po’.”
Sorseggia, l’acqua fresca scivola per la gola e sbatte contro il suo cuore caldo.
“Shigeru…”
L’acqua non è un alcolico, vero? No perché sto per fare una stronzata.
“Dimmi.”
“Tu… ti sei mai innamorato?”
Lo vede benissimo, che si sta trattenendo per non sputare l’acqua che ha in bocca. Quando riesce a mandare giù tutto – bleargh, un po’ è tornato al bicchiere! – sgrana gli occhi e la fissa, colto alla sprovvista.
Poi scuote la testa e ride. “Sì.”
Ahia.
Vedete perché è una stronzata? Perché ha rivoltato la parola chiave che ha scoperto poco fa contro se stesso, e no, non è una cosa da persone intelligenti.
Dovrebbe dire a Kasumi di dargli dell’idiota un po’ più spesso, giusto perché gli si imprima per bene nella mente.
“Davvero?”
“Sì, di una persona un po’ stupida, in verità.”
Gli si spalancano gli occhi, così, da soli. Lo sa perché improvvisamente vede un po’ peggio. Shigeru sta guardando il suo bicchiere, probabilmente sta pensando che da lì non vuole più bere niente, visto che ci ha poco elegantemente sputato dentro.
Sorride.
Un battito che se ne va e non tornerà mai più.
“Però è bella. È sempre dolce e carina con me. Mi riempie di regali, mi fa le coccole, quando ero un allenatore mi seguiva sempre, agitava sempre le mani qua e là per fare il tifo, avresti dovuto vederla.”
“Uhm.”
“È proprio una bella persona.”
Finché era solo stupida poteva avere anche una possibilità, ma lui non era mai stato dolce e carino con lui. Forse appena nato, ma da quanto racconta sua madre la prima cosa che ha fatto quando l’ha visto è stata tirargli il naso. Regali e coccole? E quando avrebbe potuto? È quasi sicuro che se sapesse la verità, Shigeru avrebbe materiale per prenderlo per i fondelli da qui all’eternità e senza via di scampo!
… e le mani le agitava giusto per dare enfasi ai suoi insulti.
Ok, questo gli spezza un po’ il suo cuoricino.
Un pochino, eh.
“Come mai questa domanda?”
“No, così… andiamo?”
Ride, annuisce e si alza. Si ferma davanti a lui e lo fa sentire ancora più piccolo di quello che già è.
“Ok, andiamo.”
Satoko è troppo impacciata nei movimenti, forse dovrebbe iniziare a mettere le minigonne. Ci mette due minuti a mettersi in piedi perché la gonna si è incastrata tra i cuscini del divano, e quando finalmente riesce a reggersi sulle sue gambe, Shigeru si lascia andare ed occupa il suo posto.
Ma che diavolo…?
“… Shigeru?”
Anziché rispondergli, allunga le mani sulla sua vita spigolosa e lo obbliga gentilmente a sedersi sulle sue gambe.
E i miei poveri genitori? Shigeru non ti facevo così maniaco. Sei una vergogna, mi conosci da un’ora, esagerando!
Satoshi lo guarda, e quando lui si apre in un sorriso, non riesce ad evitare di arrossire.
Sta arrossendo decisamente troppo.
“La persona che mi piace…” comincia, e gli da un bacino lì, all’angolo delle labbra – Satoshi lo sente distintamente ridere sotto i baffi, peccato che a lui stia per venire un infarto o qualcosa del genere. “Non è un po’ stupida, lo è decisamente.”
Muove la mano sui suoi capelli, prendendo una ciocca e arrotolandola col dito. La tira appena e la parrucca scivola via lentamente, bloccandosi per qualche secondo tra le forcine e la sua spalla – in fondo, non è abituato a mettersi quella roba in testa, non era nemmeno sicuro che avrebbe tenuto così a lungo. “Fa cose strane e si mette vestiti strani. Sicuramente ha delle strane tendenze.”
Gli toglie il retino, lascia che le forcine scivolino piano sulle sue dita, e poi gli scompiglia i capelli, tanto la sua testa è sempre stata un po’ un casino, dentro come fuori.
“Ah,e non è capace di fare qualcosa in gran segreto senza farsi scoprire. In quello è decisamente un’inetta. E si ingelosisce con nulla.”
Gonfia le guance e incrocia le braccia sul petto, decidendo in quel momento di non rivolgergli mai mai mai più la parola. Se lo merita, e diamine, lo prende in giro!
“Ma alla fine, è la persona che mi piace, e quindi va bene così, no? Satoko?”
Gli prende una guancia e gliela tira, lui stizzito non riesce a far altro che afferrargli la mano e allontanarla dalla sua faccia prima che diventi ancora più rossa, corredando il tutto con la cosa che sa fare meglio.
“Deficiente.”
Insultarlo.
“Anche io ti amo.”
Si gela a sentire quelle parole, e lui ne approfitta per baciarlo.
Shigeru è caldo nella bocca quanto nelle mani, lo scioglie e lo rilassa anche se vorrebbe massacrarlo di botte senza una ragione precisa. Sente le sue mani stringerlo in vita, e lui non fa altro che farsi guidare dal cuore e ricambiare l’abbraccio, sentendosi finalmente meglio.
La parrucca è scivolata in terra, Satoko dorme e non ha intenzione di svegliarsi, ma in fondo pazienza.
I suoi genitori aspetteranno ancora un po’ prima di rivedere la loro bambina.