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Titolo: The crossroads of time
Fandom: Originale
Parte: 1/5
Rating: Giallo
Conteggio Parole: 4416
Riassunto: Cos'è un fantasma? Una specie di compromesso tra la vita e la morte? Un'anomalia? La traccia di qualcosa che non c'è poiù, eppure continua ad avere effetto?
Qualunque sia la risposta, per avere a che fare con i fantasmi non servono poteri particolari, ma qualcos'altro. Già,e che cosa?
Chiedetelo al novellino tra gli esorcisti di Londra. Anche a lui piacerebbe sapere come mai si sia ritrovato improvvisamente ad essere così di tendenza, tra i fantasmi.
Note: Raccolta di quattro episodi + un epilogo




The crossroads of time

Prima parte: There I felt the crossroads of time


Londra, settembre 2008


Sette mesi, eh?
Il ragazzo si fermò, scoraggiato, guardando quello scorcio di strada che non conosceva, sebbene quella fosse la zona da cui passava tutte le sere, una volta sceso dal treno, per tornare alla casa del signor Bennett. Ormai lavorava lì da sette mesi. Proprio una cosa di cui andare fieri, quella: dopo sette mesi arrancava, nel panico, girando in tondo a dieci minuti da casa!
Provò a giustificarsi ricordando le parole di Aidan: Londra è fatta così, sei in una strada enorme, rassicurante e piena di luci, poi fai due passi, imbocchi un vicolo e finisci in un posto completamente diverso, non sembra neppure la stessa città.
Se anche era così, ciò non spiegava la sua incapacità di memorizzare le vie, né come mai si trovava in un posto che era sicuro di non aver mai visto.
Non sembra neppure la stessa città. Altroché. Neppure lo stesso mondo. La zona elegante e tranquilla dove si trovava la villa del signor Bennett era anni luce distante dalla stradina buia e sporca in cui si era andato a perdere. Le case erano basse e scure, macchiate dall'umidità e dal tempo. All'improvviso la brezza fastidiosa di qualche minuto prima si era fatta freddo penetrante ed insistente, come per fargli capire ancora meglio che era molto lontano dalla sua meta.
Non appena vide un negozio ancora aperto, nonostante fosse sera inoltrata, vi si rifugiò dentro, istintivamente. Una volta fermo davanti al bancone si guardò attorno, realizzando che si era precipitato nel negozio senza neanche capire di cosa si trattasse. Poteva essere un posto equivoco di qualsiasi genere.
- Desidera qualcosa, signore?
Dietro il bancone c'era una donna di mezza età, con tutti i capelli grigi raccolti in una crocchia, e un sorriso gentile. Alle spalle della donna c'era una scaffalatura piena di rotoli di nastri, fettucce, bordini di pizzo e trine, scatole di legno su cui erano disegnati bottoni e grossi barattoli colorati. Le pareti del negozio erano occupate da rotoli di stoffa, di tutti i generi. Probabilmente, con la luce del giorno quelle stoffe erano anche di tutti colori. Ma il negozio era appena rischiarato solo da un lume ad olio posato sul bancone, e con quell'illuminazione pallida le stoffe sembravano tutte grigie, celestine e rosa smorto.
- Ehm.- Mormorò lui, imbarazzato. - Io... Lavoro per il gestore di un teatro. Potrei lasciarle la locandina dello spettacolo che ospiteremo tra poco?
- Oh, uno spettacolo! In teatro!- La signora parve deliziata: gli occhi le si accesero di meraviglia. - Davvero vuole che esponiamo la locandina, qui?
- Certo.- Beh, se non altro ci aveva creduto. - Ecco qua.
Posò una delle locandine sul bancone. La donna la guardò come se non avesse mai visto niente di simile.
- Un simile prodigio è possibile nelle nostre stamperie? Non l'avrei detto. Lei viene dall'America, signor...
- Amir. Mi chiamo Amir. No, non sono americano. Vengo dal Pakistan.
La signora scosse la testa, con il viso corrucciato in un'espressione di dubbio.
- Da dove ha detto che viene? Mi perdoni, ma non conosco molto il mondo. Sono solo una povera merciaia, in questa parte sfortunata della città. A vederla così, direi che lei proviene dall'India.
- Ehm... Diciamo di sì.
- Il fidanzato della nostra Evelyn è laggiù, con l'esercito britannico. Ma tornerà presto, per sposare la nostra ragazza.
Amir sorrise. Avrebbe voluto partecipare a quella gioia così genuina della donna, ma c'era qualcosa di strano, disturbante, nella situazione in cui si trovava.
- Senta, signora, mi perdoni, temo di essermi perso. Da che parte si trova Haven Crescent?
La donna scosse la testa, smarrita.
- Non saprei. Non ho mai sentito dire di nessun posto con quel nome.
- C'è qualcosa che non va, mamma?
Dal retrobottega spuntò una testa bionda. Un attimo dopo una figura leggera, vestita di azzurro, si era catapultata nella bottega. Era una ragazzina sui quattordici anni, con il faccino grazioso e pieno di lentiggini.
- Emma, tesoro, c'è qui un signore indiano che cerca uno strano posto.- Spiegò la signora.
- Buonasera.- La ragazzina fece un inchino cortese. - Dove desidera andare?
- Haven Crescent.- Rispose lui. - Ci sono delle ville, e... Una fontana.
- La fontana quella con la statua dell'angelo?- Indovinò la ragazzina.
- Sì, esatto. Quella!
- Oh, ma allora è qui dietro l'angolo. Esca dal negozio, prosegua a destra e poi svolti alla seconda strada, sempre a destra. Troverà la piazzetta della fontana.
Bene, se quella ragazzina non aveva reinventato l'urbanistica londinese, la piazzetta della fontana era a pochissima distanza dalle ville che formavano Haven Crescent, in mezzo al quale si stagliava la splendida casa del signor Bennett.
- Lei è indiano?- Gli domandò la ragazza, prima che Amir potesse congedarsi dalle donne.
C'era qualcosa di molto sbagliato, in quella faccenda, come in molte altre. L'istinto gli suggerì di non insistere.
- Sì.
- Conosce il maggiore Jeremy Smith? E' il fidanzato di mia sorella Evelyn.
- No, purtroppo non lo conosco. Grazie del vostro aiuto. Siete state davvero gentilissime. Se mi servirà qualcosa, terrò presente il vostro negozio.
Entrambe le donne scoppiarono a ridere, sebbene senza perdere quel velo di cortesia che avvolgeva i loro modi e le loro parole.
- Oh, signore!- Disse la madre. - Non mi dirà che si occupa lei del cucito e del rammendo?
Nella mente del ragazzo balenarono le camicie del signor Bennett, con gli orli delle maniche disfatti, accatastate su una sedia, in attesa delle cure amorevoli di Amir.
- In realtà, sì.
- E' il domestico di qualche signore?- Chiese la ragazzina. - E' vero che hanno delle case così grandi nelle quali ci si perde, se non si sta attenti?
Amir sorrise. Non era una descrizione del tutto sbagliata.
- Io mi ci perdo tutt'ora, nella casa in cui lavoro. Adesso devo andare. Ma tornerò a trovarvi.
Uscì dal negozio in fretta, sentendosi sollevato una volta all'aperto. Notò solo in quel momento che il negozio si trovava sotto un piccolo loggiato. L'arco del loggiato gli sembrò familiare, ma non riuscì a capire dove l'avesse già visto. E poi non era il caso di indugiare ancora, col rischio di perdersi di nuovo. Seguì le istruzioni della ragazzina e ben presto la sagoma familiare della fontana comparve davanti ai suoi occhi. Era la zona che conosceva, pulita e illuminata. E si vedeva la mezzaluna delle case di Haven Crescent. Quasi corse verso la villa che ormai da mesi era anche casa sua.
Aprì la porta e si catapultò all'interno, sentendosi infreddolito e stanco senza motivo. La casa era immersa nel silenzio: il proprietario probabilmente non c'era. Bene, ora poteva decidere cosa fare. Prepararsi una cena veloce, riassettare la cucina e il bagno... e poi poteva rammendare camicie.

Aveva quasi dimenticato la merceria sotto l'arco, e forse non ci avrebbe pensato più, se non avesse terminato il filo bianco da rammendo. Non che il signor Bennett gli chiedesse di occuparsi anche delle sue camicie. Ma Amir era molto fiero della sua abilità con l'ago e il filo (l'unica faccenda domestica che avesse imparato in Pakistan, quando, come unico maschio della famiglia, veniva su viziato e coccolato dalla madre e dalle tre sorelle.) E il signor Bennett lo lasciava fare.
La merceria sotto l'arco gli sembrò una buona idea. La signora era stata gentile, Emma era adorabile. E quel posto aveva uno strano fascino. E poi, non doveva essere difficile da ritrovare, no? Doveva raggiungere la fontana, imboccare una via a sinistra e poi di nuovo a sinistra, e avrebbe trovato la strada con l'arco.
Nella mezza luce del tardo pomeriggio autunnale anche Haven Crescent e i suoi bei dintorni acquistavano un che di malinconico e decadente. La fontana dell'angelo gli fece venire un brivido inspiegabile, quando le passò accanto. E nel momento in cui mise piede nella strada dell'arco, all'improvviso il cielo si fece molto più scuro e la luce si dimezzò bruscamente.
Ritrovò la merceria, e prima di entrare poté constatare che nella vetrina era stata esposta la locandina che pubblicizzava una rappresentazione di Shakespeare al Sunflower. Sorrise: anche per quello, la signora e sua figlia meritavano un'altra visita.
- Buonasera, signore. Posso fare qualcosa per lei?
La giovane dietro il bancone era alta e snella, con un viso pulito e rassicurante. Portava i capelli biondi raccolti in una crocchia, ma i riccioli più corti sfuggivano da tutte le parti. Amir immaginò che fosse la sorella maggiore di Emma. Non aveva le lentiggini, ma aveva gli stessi occhi chiari e grandi.
- Salve. Ho bisogno di un rocchetto di filo bianco per rammendare.
La ragazza tirò fuori una scatola di legno da sotto il bancone e gliela aprì davanti. I rocchetti esposti lì dentro non somigliavano per nulla a quelli che Amir usava di solito. La forma era diversa, forse anche il colore, meno candido. O forse era la solita luce, suggestiva ma terribile per gli occhi.
In quel momento, sollevando per caso lo sguardo sulla ragazza, notò la foggia insolita dell'abito che portava. Una veste nera, lunga, che andava di moda molti anni prima. Aveva trovato strani anche i vestiti della madre e di Emma, ma lì per lì aveva pensato che fossero una sorta di divisa per dare un certo tono al negozio. O magari aveva elaborato quella spiegazione per non doverne trovare altre meno razionali.
- Guarda il nero, signore?- Domandò lei.
- No. No, mi scusi, davvero, io...- Balbettò lui, confuso.
- Non si preoccupi. Immagino che possa rendere curiosi, il nero addosso ad una ragazza giovane. Lei mi ricorda un po' i motivi del mio lutto.
- Io?
- Il mio fidanzato era tenente nell'esercito, ed era in India da tre anni. Aspettavamo il suo ritorno a breve, ma un mese fa ci hanno dato la notizia della sua morte.
Un mese fa? Ma se la madre ed Emma gli avevano parlato di Jeremy Smith appena tre giorni prima!
- Mi dispiace. Mi dispiace tanto.- Mormorò lui, aggrappandosi al bancone per non cadere. - Mi dispiace di ricordarle il suo dolore.
- Lei è una persona gentile.- Rispose la ragazza. - Mi perdoni per averla trattenuta e intristita con le povere storie di una ragazza qualunque. Scelga il filo che desidera e riprenda pure la sua strada.
- Va bene questo.
- Sono nove scellini.
- Ehm...- Lo scellino era in disuso da qualche decennio, da che ricordava. Posò una sterlina sul bancone, avvertendo l'esigenza di fuggire da lì. - Ecco, tanto tornerò presto, faremo i conti la prossima volta, eh?
- Ma... Aspetti! Ma cosa...
Corse via senza nemmeno salutarla. Lo shock culturale monetario era stato terribile. Ci voleva un po' d'aria fredda per schiarire i pensieri.
Che la sua vita avesse preso un corso insolito, quello lo sapeva bene. E sapeva anche che quel corso includeva cose non esattamente comuni e incontri non esattamente umani.
Però...
- Ehi, stai attento a dove vai, figlio di puttana!
Non si era minimamente accorto dell'uomo che camminava nella direzione opposta alla sua. Non finché non fu bruscamente spintonato contro il muro dall'altro, che camminava con passo frettoloso, con gli occhi fissi sulla strada.
- Mi scusi.- Mormorò il ragazzo, seccato da quella scortesia. - Non l'ho fatto apposta.
- Stai zitto. Non ho voglia di litigare, oggi, altrimenti vedresti!
L'uomo era giovane, ma la smorfia di rabbia che gli contraeva i lineamenti lo rendeva particolarmente repellente. Era intabarrato in una palandrana rosso scuro e portava una sacca di cuoio sulle spalle. Un altro insolito passante di quella strada fuori dal tempo.
- Mi scusi.- Ripeté il ragazzo, turbato dall'aria aggressiva dell'altro.
- E smettila di piagnucolare!- L'uomo sollevò la mano sinistra, stretta in un pugno, ma Amir scivolò via e corse verso casa, prima che l'altro potesse fare qualsiasi movimento.
Quando ebbe raggiunto la fontana fu colto da un terrore irrazionale che quel tipo violento fosse andato al negozio, a disturbare le sue amiche. Quasi senza pensare tornò sui suoi passi e si affacciò sulla strada. L'uomo era sparito, la via era tranquilla. Camminò fino all'arco e al negozio. Il portone d'ingresso era serrato, la luce interna al negozio spenta. Nella vetrina buia c'era ancora la locandina, adagiata tra un drappo di stoffa rossa e una scatola da cui spuntavano fuori nastri, fibbie e bottoni. Ebbe l'impressione che i colori della locandina fossero sbiaditi, come se avessero preso troppo sole. Ammesso che il sole riuscisse a penetrare, in quella strada. Forse era solo l'incantesimo del negozio, che toglieva vitalità alle tinte di qualsiasi cosa vi entrasse.
Amir tornò indietro, sforzandosi di non pensare a Evelyn e al suo vestito del lutto. Se avesse proseguito dietro a quel pensiero, non avrebbe dormito.
In effetti non dormì.

Se li guardavi da vicino, i rammendi non erano proprio bianchi. C'era un che di lievemente giallastro. Non che fosse un così gran problema. Però c'era, sì. Non sapeva decidere se si trattasse di una colorazione naturale del filo, magari non sbiancato con prodotti chimici, o se fosse l'ingiallimento tipico del tempo.
Beh, comunque stessero le cose, lui voleva tornare dalle sue amiche. Con la scusa di comprare qualcos'altro. Bottoni. C'era un cappotto del signor Bennett con due bottoni mancanti, no? Sapeva dove trovarli. Perché lui voleva rivederle. Assicurarsi che stessero bene.
Il motivo di quella preoccupazione... No, non lo sapeva, e nemmeno gli interessava. Era l'istinto a suggerirgli di tenerle d'occhio. C'era qualcosa che gravava su di loro, un'ombra indecifrabile. Cosa poteva fare uno come lui, poi, non lo sapeva. Però se le era prese a cuore.
Fu per quel motivo che, quel pomeriggio, quando entrò nell'alone di luce tenue del lume ad olio, si sentì infinitamente triste di fronte alla faccia depressa di Emma, che lo salutò con una mezza parola appena.
- Posso aiutarla?- Chiese la ragazzina.
- Mi servono dei bottoni. Si ricorda di me, signorina Emma?
- Il signor indiano, certo.
- Come stanno sua madre e sua sorella?
- Staremmo meglio tutte da un'altra parte, mi creda. Bottoni come?
- Bottoni neri, ricoperti di stoffa. Ma... Vi è successo qualcosa?
La ragazza gli mise davanti la scatola giusta e tolse il coperchio. Amir prese a rovistarvi, più che altro per non insospettirla. Non gli importava granché dei bottoni.
- Sì, ci è capitato di essere donne sfortunate, ecco cosa. Tre donne da sole non vanno proprio da nessuna parte.
- C'è qualcosa che potrei fare per voi?
Emma alzò le spalle e scosse la testa.
- Non dovrei nemmeno annoiarla con le nostre disgrazie.
- Non mi sta annoiando, signorina Emma. Dico davvero. Posso aiutarvi in qualche modo?
- Meglio di no.- La ragazzina fece un sorriso amaro. - Pare che gli uomini attorno a noi siano contagiati da qualche sfortuna e muoiano tutti.
- Si riferisce al fidanzato di Evelyn?
- Nostro padre e nostro fratello, prima di lui. Finiamo per restare sempre sole. Senza nessuno che ci aiuti quando ne abbiamo bisogno. E ora c'è quel Carl che si presenta qui a tutte le ore e fa la corte a mia sorella, e per quanto lei gli dica di no, non c'è modo di cacciarlo. Ma chi ti aiuta, quando tutti sono troppo presi dalle proprie faccende?
- Intende dire che siete infastidite da quest'uomo?
- L'unica speranza è che se ne vada in fretta. E' un marinaio e sembra che il suo mercantile sia in partenza. Almeno potremo uscire da qui. Siamo chiuse in casa da mesi! Vedo il sole solo dalla finestra. Al mattino scendiamo le scale e veniamo in negozio. La sera risaliamo e ci serriamo in casa. E basta. Dobbiamo lavorare. Dobbiamo stare attente a Carl Borden. Siamo sole. E io mi struggo di prendere una boccata d'aria e ridere un po', eppure mi sono precluse anche queste cose così semplici. Non usciamo più nemmeno per la Messa della domenica, ormai, a meno che qualche anima buona del quartiere non ci scorti. Non è una vita, questa!
- Ma non avete pensato di chiamare la polizia, se quest'uomo vi spaventa così?
- In che città vive, signore? Ah, già, lei è un domestico di una famiglia rispettabile, mi sbaglio? La polizia non considera quelli come noi. Ha finito, con i suoi bottoni?
Amir aveva pescato una manciata di bottoni dall'aria interessante, e li mise nelle mani della ragazza perché li avvolgesse in un pezzettino di stoffa, per portarli via.
- Tutto quel che chiedo sarebbe andare alla festa di Rose Wells.- Sospirò la ragazzina, voltandosi per mettere a posto la scatola.
- Chi è Rose Wells?
- Abita qui vicino. Si è fidanzata e ha invitato tutte le famiglie del vicinato per festeggiare. E' venuta qui, a cinguettare della sua felicità, a noi tre povere recluse. Già. Molto gentile. E ci ha invitate, e sarà un festa vera, e per una volta che potremmo vivere un po', mia madre ha detto di no, perché anche se è vicino, siamo tre donne sole, e... Le solite storie. Siamo indifese. Non abbiamo nessuno.
Per una volta che potremmo vivere un po'.
- Signorina Emma. Quando si terrà, questa festa?
- Stasera. Un po' tardi, per trovare un corteggiatore onesto a Evelyn e convincerlo a farsi carico di noi tre povere sciocche.
Come sempre, Amir non si rendeva conto del momento preciso in cui una facoltà sconosciuta, che non era la razionalità, prendeva possesso di tutta la sua persona e parlava o agiva a sproposito.
- Posso portarvi io.
La scatola sfuggì dalle mani di Emma e precipitò a terra, con un tonfo seguito dal picchettare al suolo di una pioggia di bottoni.
- Cos'ha detto?
Il rumore attirò immediatamente la madre ed Evelyn, ancora vestita a lutto. Le due donne guardarono il disastro causato da Emma e poi Amir, per qualche lunghissimo e silenzioso momento di imbarazzo.
- Ha detto che ci porta alla festa!- Esclamò Emma, incredula, come se quella notizia potesse essere una spiegazione sensata ai bottoni rovesciati.
- Che cosa?- Mormorò la madre. - Emma, per favore, no...
- No, davvero.- Amir si affacciò sul bancone. - Vi accompagno volentieri. Sono una persona tranquilla, onesta. Non voglio ingannarvi. Se avete bisogno di qualcuno che si occupi di voi, ci penso io, per questa sera.
- Ma lei, chi è?- La madre gli si fece vicina, guardandolo con diffidenza e con la fierezza dell'animale feroce che difende i figli da un predatore.
- Mi chiamo Amir. Sono un... domestico in casa Bennett.
- I Bennett originari di Bournemouth?- Chiese la donna.
- ... esatto, loro.
- Li conosco. Perché il domestico di una famiglia importante dovrebbe interessarsi a tre donne conosciute per caso?
- Perché vi ho conosciute, anche se per caso. E ci tengo, al fatto che possiate passare una serata felice.
Ci fu un attimo di gelo, ma la risata spontanea di Evelyn lo infranse subito.
- Mamma, sì, ti prego! Ha detto che verrà con noi. Possiamo andare? E' così tanto tempo che siamo qui. Ne abbiamo bisogno!
La donna guardò la figlia con aria severa, ma il sorriso della ragazza fece crollare ogni resistenza.
- E va bene.- Sospirò. - Se davvero la sua è solo carità cristiana verso tre donne sole, allora riceveremo la sua elemosina con gratitudine.
- Allora andiamo a vestirci!- Gridò Emma. - Mamma, ti prego, posso mettermi il vestito rosso? Quello di velluto. Ti prego!
- Certo, cara. Quello di velluto. E se proprio vuoi, ti farò indossare anche la mia collana con la perla. Guai a te se la perdi, però! E' un ricordo di tuo padre.
Emma fece un saltello di gioia e poi prese a ballare in tondo, pesticciando i poveri bottoni abbandonati a terra.
- Ci saranno tutte le ragazze del quartiere! E i ragazzi...
- Eh, già.- Commentò Evelyn, sfiorando la guancia arrossata della sorellina. - Io metterò l'abito nero migliore.
- No.- La madre posò una mano sul braccio della figlia maggiore. - No, metterai l'abito del tuo fidanzamento, Evelyn. Quello bianco. Potrai indossare un velo nero, se vorrai, ma per una volta tua madre desidera vederti bella di nuovo. E ti difenderò io da chiunque oserà dire qualcosa su di te.
Il sorriso di Evelyn si fece splendido.
- E tu, mamma?- Domandò la più piccola, infilandosi tra Evelyn e la madre, e abbracciandole entrambe. - Tu che metterai?
- Qualsiasi cosa possa indossare, non sarà mai bella quanto voi due!
Amir fece qualche passo indietro e contemplò le tre donne abbracciate. Se mai aveva meditato sul significato dell'espressione voglia di vivere, adesso poteva dire di averne capito il senso.
- Tra un'ora saremo pronte.- Gli disse Evelyn, voltandosi verso di lui.
- Tra un'ora sarò da voi.- Rispose Amir. Gli sembrò di sentire un altro suono, dietro le sue parole. Qualcosa di stridente, qualcosa che si infrangeva. Ma volle ignorarlo. Uscì dal negozio e tornò verso casa, tenendo d'occhio l'orologio. Tra un'ora sarebbe tornato.

La prima cosa che lo mise in allarme fu il lampione. Non c'erano lampioni, nella via del negozio sotto l'arco. Né panchine. La strada era più piccola, più sporca, più...
- Non è possibile.
La prima volta in cui aveva visto il loggiato sotto il quale si apriva il negozio, gli era sembrato familiare. Ora capiva perché. Ci era già passato davanti, mille volte. Solo che non c'era nessuna merceria, ma una gioielleria, lì sotto, e l'arco di pietra grezza era stato intonacato e dipinto di bianco. Da una finestra al piano di sopra scendeva un rampicante fiorito, che gettava i suoi rami pendenti lungo l'arco. La gioielleria, chiusa, aveva un'insegna frivola e colorata. Rassicurante. Amir riconosceva perfettamente i contorni di quel posto, così vicino a casa.
- Non è possibile.- Ripeté, con il cuore che batteva tanto veloce da impedirgli di respirare.
- E' possibilissimo, direi.
Amir si voltò di scatto. C'era un uomo, alle sue spalle. Un tipo dall'aria comune, con i capelli scuri e lunghi, una felpa nera e dei jeans. Gli sorrise e gli fece un cenno con la mano.
- Pensavi di trovare la merceria?- Gli domandò, avvicinandosi e tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca della felpa.
- Tu chi sei e che ne sai della merceria?
- Io so tutto. Conosco questo quartiere da secoli. Nel vero senso della parola. E so anche chi sei tu.
- Cosa sai, di me?
- Vedi roba che la gente comune non vede o non vuole vedere. Perché credi altrimenti di essere riuscito a trovare la merceria?
- Che... Cos'era?- Mormorò Amir, appena più calmo. Almeno qualcuno gli confermava che non era stata tutta un'allucinazione.
- Un crocevia del tempo.
- Non capisco.
- Hai trovato un passaggio nel tempo. Hai visto questo posto com'era circa cento anni fa.
- Cento?
L'altro annuì, buttando fuori dalle labbra uno sbuffo di fumo. Offrì la sigaretta ad Amir, che rifiutò scuotendo la testa con decisione.
- Cento. All'epoca Magdalen Bailey e le sue figlie, Evelyn ed Emma, gestivano la merceria di famiglia. Il marito era morto da sei anni. Il figlio secondogenito da tre. E l'ultimo colpo era stata la morte del fidanzato di Evelyn. Poi era arrivato Carl Borden, con la sua corte sfacciata e le sue minacce.
Amir fu raggelato da un brivido. Un presentimento della fine di quella storia, forse.
- Nella sera del venticinque settembre 1907, Carl Borden si precipitò nel negozio e cercò di assalire Evelyn. Lei si difese con delle forbici da sarto e lo ferì. Carl, furioso, se ne andò, per tornare poco dopo armato di quanto gli serviva per bruciare il negozio. Le donne morirono tutte e tre, soffocate dal fumo, insieme ad altri quattro abitanti del caseggiato.
Amir rimase in silenzio, a fissare la gioielleria e la sua insegna frivola con la voce bloccata in gola e il desiderio di gridare che non era giusto.
- Ti chiedi cosa c'entri tu, vero?- Domandò l'altro. - Sai, prima che arrivassi tu, questo non era un posto tranquillo. Quelle tre donne, dopo mesi di reclusione e struggimento per la vita che non potevano avere, erano morte all'improvviso, derubate del loro futuro. Immagini cosa possa essere successo?
- Sono... Rimaste?
- Già. Tre ombre inquiete, tra questi vicoli. Fredde, insensibili. Cattive, invidiose. La loro rabbia impregnava le mura di queste case. La loro ansia di vivere si trasformava in un desiderio senza sfogo, insalubre, soffocante.
Amir pensò che in fondo non avevano tutti i torti, ad essere così infuriate.
- Poi sei arrivato tu. Hai trovato un passaggio temporale e sei arrivato qui nel momento prima della fine. Hai dato loro una speranza. Non sei riuscito a salvarle, è vero, ma hai regalato loro un momento in cui hanno concentrato tutto il loro desiderio prepotente di vita.
L'uomo gettò via la sigaretta e si avvicinò al ragazzo. Amir notò che aveva gli occhi stranamente allungati, quasi felini, di un colore dorato innaturale.
- E cos'è successo?
- Se ne sono andate in pace. Hai cambiato questo posto, agendo sul suo passato. Hai dato il riposo meritato alle tre donne, e anche ad almeno tre generazioni di abitanti di questo posto.
Amir scosse la testa: aveva capito, ma voleva far finta di non capire, invece, per farsi rispiegare tutto, per vedere più chiaro in quelle parole folli che gli venivano date per vere.
- Fidati. E' così.- Insisté l'altro. - Io lo so. Sono il custode di questo posto da secoli. Secoli veri. Io so tutto.
- Ma se ho davvero... Ho cambiato...- Balbettò Amir, ancora in parte incredulo.
- Hai impedito due suicidi, un omicidio e diverse risse, se può farti piacere.- Rispose l'altro, ridendo. - Non male. Adesso però torna a casa. Anche la casa di Bennett ha i suoi spettri. E non facili da esorcizzare.
Non gli disse altro: si tirò su il cappuccio della felpa e si diresse sotto l'arco. Sparì nelle ombre del loggiato e Amir non lo seguì.

A casa rovesciò sul letto l'involto di stoffa fatto da Emma e guardò i bottoni.
Gli sembrò di cogliere ancora un guizzo di quella vitalità meravigliosa che aveva avvertito nel negozio delle tre donne. Come il riflesso di un sorriso, una rassicurazione che proveniva da lontano. Va tutto bene. Per un momento soltanto, ma siamo state felici.
Mise via i bottoni, con un sospiro. Si distese sotto le coperte e serrò gli occhi. Va tutto bene.
- 1907.- Borbottò, scivolando nel sonno. - Ecco perché non sapeva dove fossero Haven Crescent e il Pakistan.
E in quel momento tutto gli sembrò perfettamente logico e razionale.




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Note autore lunghe quanto un poema epico...

- Questa prima parte è stata scritta per la writing community [livejournal.com profile] 13_ghostories, per il tema #7 Struggimento.

- Il titolo dell'episodio e quello di questa prima parte (e anche un po' il concetto) sono presi dalla canzone The old ways di Loreena McKennitt.

- La frase su Londra che viene attribuita a Aidan mi è stata detta da [livejournal.com profile] an_rua_mia. Dear, spero non ti dispiaccia se te l'ho rubata. L'ho fatta dire a un irlandese dai capelli rossi, dai...

- Grazie a [livejournal.com profile] shu_maat e [livejournal.com profile] fengtianshi per aver elucubrato con me sul bianco e l'ingiallimento del filo vecchio e nuovo!XD

- Grazie a [livejournal.com profile] an_rua_mia per avermi recuperato gli orari di chiusura dei negozi londinesi e vari altri siti di informazioni, e a [livejournal.com profile] shu_maat per aver partecipato a tutto questo. Grazie ad [livejournal.com profile] an_rua_mia per avermi rassicurata sul senso della faccenda delle tre donne sole impossibilitate ad andare in giro.

- Le stesse sante donne di cui sopra mi hanno aiutata a trovare notizie sul costo della vita in passato, a Londra (per capire che faccia avrebbe dovuto fare Amir di fronte al costo del filo.) Mi hanno trovato storie della sterlina e un convertitore che ti trova il valore della sterlina negli anni. Sono delle grandi. Io ho pescato in giro un probabile costo per un rocchetto di filo attuale (3 sterline), e ho cercato di utilizzare l'incasinatissimo convertitore. E' stata un'impresa. Il prezzo riportato nella storia nasce da una serie riflessioni sul risultato datomi dal convertitore.

- Non ho la più pallida idea se nel 1907 andava di moda mettere le locandine degli spettacoli nei negozi, e infatti ho tentato di lasciare la signora della merceria stupita ma non troppo!XD Se ne sapete qualcosa, illuminatemi!

- Così, per la cronaca: l'India e il Pakistan sono creati come stati indipendenti nel 1947. Un Crescent è una struttura architettonica di case disposte a mezzaluna. Mi sembrava una sistemazione interessante, per la villa di Joel Bennett.

- Autocitazione: "se quella ragazzina non aveva reinventato l'urbanistica londinese": sì, l'ho reinventata, tutta la zona di Haven Crescent, ovviamente, non esiste nella realtà, ma non penso che lo spirito della città di Londra si risentirà se ci ho aggiunto un pezzo...

- Nonostante le ricerche per amore della verosimiglianza, potrei aver scritto grosse bischerate. Per non dire grosse puttanate. Potrei. Spero di no e accetto qualunque correzione e consiglio in caso l'avessi fatto!

- Questa storia fa parte di una saga più lunga e complessa. Casomai non aveste nulla da fare e vi andasse di saperne di più su questa gente, magari vi va di fare un salto su [livejournal.com profile] harriet_serian. O di leggere questo episodio.

Ciao!
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