[Final Fantasy XII] Giù al fiume
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Fandom: Final Fantasy XII
Pairing: Basch/Noah
Parte: 1/1
Rating: NC17
Conteggio Parole: 2255 (Word)
Note: lemon, twincest, slash, seguito di Giochi di bambini e Venti minuti
“Fiume” è il termine pomposo che tutti usano
per indicare un corso d’acqua che scorre stretto oltre la collina, dove
all’erba si sostituisce prima un impasto di fango e cardo selvatico, poi
un terreno butterato di sassi e poi quello limaccioso e folto di erba altissima
che contorna il torrente, abbastanza ampio perché le ragazze possano
chinarvisi a strofinarvi i panni.
Motivo per il quale nessuna persona che possa definirsi rispettabile si avvicina
a quelle acque, quando il sole vi batte sopra a picco, e l’estate vi scivola
sopra come se tutta la natura stesse sudando.
Basch e Noah non sono di nobili natali, e sono abbastanza ragazzini per evitare
almeno l’insorgere di problemi del genere, eppure Basch – a cui,
evidentemente, quei venti minuti di maggiore età che detiene su suo fratello
hanno instillato quel briciolo di ponderatezza che non ha avuto tempo di attecchire
del tutto in Noah – riconosce che non hanno esattamente goduto di un’entrata
in scena dignitosa. Trattenere l’impulso frenetico di scoparsi a vicenda
senza soluzione di continuità costa parecchio a tutti e due in termini
di calma ed energia – nessuno di loro si stupisce, quando arrivano bocconi
e sporchi di terra, dopo aver incespicato e rotolato lungo il declivio della
collina, insultandosi a vicenda nel decidere chi mai abbia messo il piede davanti
a chi.
Noah, giustamente, non crede davvero che a delle mocciosette gracili e scolorite
interessi molto lo stato dei loro vestiti – primo perché non servono,
secondo perché sono abituate a cose che non sono certo due ragazzini
duri come due pezzi di ferro, e terzo perché sono pagate in maniera anche
abbastanza cospicua per quello che le loro tasche possono permettersi.
Fra loro, è Basch a prendere atto del fatto che, per quanto sbagliato
e dispendioso sia fare quel che si accingono a fare, è sempre meno sbagliato
di tutto quello che fanno insieme senza spendere un soldo.
In fondo lui è sempre stato quello più saggio.
E in fondo, è stato sempre quello che sta sotto – tutto il corpo
glielo ricorda, quando il rollio si ferma, e lui si rialza dal corpo del gemello,
foggiato sotto al ghiaccio e al sole, bruciato dall’estate, profumato
di verde e di vento e di sale e sudore.
In virtù di questo, Basch si chiede come i capelli corti di Noah possano
trarre in inganno i perfettini e farlo passare come quello ordinato fra loro
due – in realtà è Noah quello tremendamente selvatico, solido
e caldo e con le gambe piene di graffi perché nella boscaglia non lo
ascolta mai e va camminando in mezzo ai rovi, che porta la roba di tela addosso
finché non si disintegra, che fa l’amore con lui come se potesse
morire nel giro di un secondo, e lo fa con una gelosia avida che gli gela il
sangue, quando il suo odore gli si appiccica addosso e copre quello del sapone.
E lo vuole adesso.
«Beh?» borbotta Noah, a pancia in giù sull’erba, quando
Basch si toglie di dosso e si rialza per tendergli il braccio. Si guarda le
punte dei piedi, e lo vede così imbronciato, mentre se lo alza e lo tira
fino al greto luccicante del fiume, che sembra che un sopracciglio gli si arricci
sopra la faccia.
«E le ragazze?» protesta, contando sul palmo della mano i guil della
settimana – non perché la situazione non gli piaccia, ma insomma,
Basch è quello che pensa che frotte di ragazzine prezzolate possano dare
svariate e gioiose mani per portare un po’ di normalità nella loro
vita sessuale. Cosa di cui, fra parentesi, Noah dubita già dal principio.
Può pure azzardarsi a dire che fare tutta quella strada gli abbia pesato.
Ma comunque.
Guarda Basch stringersi nelle spalle con aria colpevole. Sta evitando i suoi
occhi.
«Mi sa che oggi hanno giornata libera.»
In effetti non ci sono nemmeno le tavolozze di legno per i panni.
«Basch,» sospira, passandosi una mano fra i capelli «potevi
evitare di farmi fare tutta questa strad— mmmphf!»
No, decisamente non poteva, si dice Basch, premendogli il bacino addosso con
le mani piantate nel cotone della canotta e la bocca che cerca la sua quasi
a tentoni, e quando la trova la schiude a forza con la lingua, i denti di Noah
che gli mordicchiano il labbro e il respiro che si spezza quando Noah affonda
nella sua bocca.
Gli stringe un braccio attorno alle spalle, schiacciandolo così forte
contro di sé che l’odore della sua pelle gli entra nelle narici,
tanto che potrebbe quasi mangiarlo, e lo atterra con le mani sudate fra la malva
e le violacciocche, aggrappandosi ai ciuffi d’erba e ai suoi vestiti e
a tutto purché se li levi di dosso, incurante del grugnito di protesta
che Noah esala fra un bacio e l’altro quando Basch spinge il bacino sul
suo, l’erezione che tira attraverso i pantaloni e praticamente spinge
su quella del gemello.
«Basch—» e Noah si pente di quanto il respiro gli si stia
strozzando in gola «—scordatelo.»
«Tu dici?» sospira lui, incalzandolo mentre comincia a strofinarsi
attraverso i vestiti, scucendogli di bocca un lamento che palesemente non conosce
vergogna.
«Stronzo,» obietta, lottando non tanto per scrollarselo dai vestiti,
ma per sputare un’ape che poco ci manca gli si infili in bocca «tu
sopra non stai!»
«Ma perché dobbiamo sempre fare di testa tua!»
«… Ma proprio in mezzo alle violette, ma sei deficiente!»
«Non cambiare discorso!»
«Avevamo detto—» sospira Noah, muovendo invano i fianchi,
puntando la testa sull’erba mentre Basch gli apre i calzoni tirandoli
con troppa forza, e il bottone di metallo schizza come un proiettile che suo
fratello fa appena in tempo a schivare «—che dovevamo abituarci
a—ah—»
Quando le mani di Basch accarezzano la pelle sotto la maglietta, Noah si inarca
in un modo semplicemente indecente, facendogli aderire addosso tutte le dita,
e le labbra gli si aprono senza emettere suono quando il gemello tira la stoffa
fino alla base del collo e comincia a baciarlo lungo lo sterno, le labbra caldissime
e giusto un po’ umide che schioccano piano e gli fanno scendere dei brividi
allucinanti lungo il basso ventre.
E lo sconvolge un bel po’, quando gli afferra un capezzolo fra i denti
e lo ricalca con la punta della lingua con quell’attenzione delicata che
ha per tutte le cose, poco importa quanto voglia scoparsi la cosa in questione.
Geme.
Accidenti a lui.
Noah è stufo di fare la bambola – appena l’occasione glielo
permette, si aggrappa con le unghie alla canottiera di Basch e gliela sfila
mandando capelli biondi dappertutto, sollevandosi per addentargli forte un labbro,
così forte che Basch sussulta dal dolore, ma Noah lo blocca con le gambe
attorno ai fianchi e succhia il piccolo taglio finché Basch decide che
no, non è niente, che tanto la saliva è la stessa, Basch o Noah
che sia.
Indispettito, Basch gli restituisce il favore, e ben presto la canotta di Noah
va a infastidire l’ape più prossima sul tappeto d’erba incolta
e cardo selvatico – non che loro due abbiano occhi per curarsi dell’ambiente
circostante, non mentre la mano di Basch scivola piano nel triangolo d’ombra
dei pantaloni del gemello, ormai orfani di bottone, e scavalcano il bordo delle
mutande col mezzo sogghigno tipico di chi non riesce ancora a credere di star
sopra.
Non ha mai visto Noah sgranare gli occhi così.
«Basch, oddio.»
Basch, dal canto suo, non dice niente, lo stringe così delicatamente
che Noah sente più il piacere che le sue dita, e comincia a maledirlo
in una quindicina di dialetti locali e almeno un paio di archadiani, perché
non vuole venire senza averlo dentro – se deve portare avanti l’umiliazione
è meglio che lo faccia con tutti i crismi, ma Basch è uno che
la vergogna sua e altrui la gestisce in maniera del tutto singolare.
Il che è uno dei motivi, suppone, per cui scatta a singhiozzare come
un pulcino sulla curva bagnata delle sue labbra.
«Se mi fai venire così giuro che ti tolgo la pelle di dosso.»
Ed è sempre più convinto che non ne avrà il coraggio, perché
a vedere Basch che freme così, mentre lo masturba come se fossero due
cuccioli che ruzzano sul prato, teme verrà anche prima di quanto ha calcolato.
«Scusami.»
«Ma sei stupido?» si accerta Noah, con la pelle d’oca e gli
occhi che non vedono che i suoi e il suo odore in bocca.
«Per ieri. Per essere venuto qui.»
Come diavolo fa a parlare ancora?
«Mhh… ah, sì?» borbotta Noah facendogli le fusa nel
collo mentre le dita di Basch gli si avvolgono attorno sempre più veloce.
«Poi sei tornato però.»
«Lo so…»
«Lo so—» e Noah si interrompe in un singhiozzo, così
sudato che Basch deve tenerlo stretto «—che lo sai.»
Noah è una di quelle cose da cui indietro non si torna mai, pensa Basch,
e lo pensa pure con una punta di voglia abbastanza piccata, dato che lo tiene
fermo sull’erba e gli strattona via i pantaloni, lasciandolo in sospeso.
«Umph» sbuffa lui – perché Basch lo vale, quel benedetto
orgasmo con lui dentro, ma Noah lo guarda accigliato, appiattendosi sull’erba
perché Basch lo manchi giusto di poco – orgoglio e insoddisfazione
messi insieme non sono esattamente una bella cosa.
Basch si puntella con i gomiti su qualche povero stelo di malva irsuto e ignaro,
azzardando un “Beh?”
Beh.
Le unghie che gli tirano calzoncini e mutande in un colpo solo lo prendono abbastanza
di sorpresa perché Basch perda l’equilibrio con tutta la sua dignità
di ragazzino vestito avvoltolata attorno alle caviglie, che non ha che un secondo
per lamentarsi del torto subito, data la velocità con cui la lingua di
Noah scivola ad accarezzarlo, stringendogli attorno quella bocca assurdamente
bagnata.
«Noah, sei allucinante—» mormora, con un gemito che gli sale
dalla gola e gli occhi rigorosamente chiusi mentre gli afferra la nuca e lo
aiuta ad assecondare i suoi movimenti, trattenendo il respiro per non dargli
troppa soddisfazione, ma a ogni allentarsi delle labbra di Noah corrisponde
un grugnito, e a ogni assalto uno sbuffo che suona più che altro come
una maledizione.
E dovrebbe fare lui, oggi, ma non può non venire – e quando viene,
Noah sputa il suo seme sul prato con una sfumatura di disprezzo da spaccargli
la faccia.
«Ma bravo, e ora che facciamo?» gli chiede Basch, sarcastico e più
che vagamente irritato.
«Basch, siamo pelle contro pelle, non ci metti niente…» suggerisce
suo fratello in uno sfoggio di savoir-faire vergognoso, in risposta al quale
Basch si fa accarezzare dalle sue dita, per poi riappropriarsi dell’amor
proprio e schiacciarglisi di nuovo addosso per sfregarsi piano sulla pelle nuda.
Non ci mette niente davvero.
Non meno di qualche minuto, almeno, complice il bacio in cui Noah praticamente
lo trascina come se non ci fosse domani, e il suo corpo che si muove ovunque
sotto il suo - e non vuole indagare su che sapore abbia davvero.
«Noah—»
«Sei tu quello sopra, ricordi?»
Dio, che stronzo.
Basch digrigna i denti, e nel farlo quasi si dimentica di bagnarsi le dita –
quando le struscia fra i glutei di Noah, già i muscoli di lui si contraggono.
«Quanto sei cretino, se resisti così ti fai male, buono!»
«Ma sentitelo!»
«Mpf!»
Quando Basch parla – si tratti pure di uno sbuffo d’aria –
non lascia mai niente al caso. Anche stavolta ha le sue sacrosante ragioni,
mentre Noah scalcia e si fa sollevare di peso, e di peso si aggrappa a Basch
mentre lo spinge sul ciglio dell’acqua e lo atterra in un gemito di protesta
– l’acqua è dannatamente ghiacciata, il fondale poco profondo,
e Basch impreca in difesa dei pantaloni zuppi attorno alle caviglie, mentre
Noah, su di lui, lo abbraccia perché trema di freddo.
Abbastanza perché Basch possa far scivolare un ginocchio fra le sue gambe
e lo fa ritrovare con la nuca nell’acqua.
«Ahio.»
«Shhh…» sibila Basch, quando spinge un dito dentro di lui
e lo sente contrarsi dal dolore. Noah decide di sopportare con spirito virile
quando Basch gli si muove dentro pianissimo, ma quando lo bacia quasi gli lascia
il segno dei denti nell’interno delle labbra. Grazie agli dèi,
Basch sembra ricordarsi come si fanno le cose per bene, e lo accarezza piano
fra le gambe mentre spinge.
Ruffiano.
Anche perché sta cercando di non farlo venire adesso, e… e il maledetto
non lo avvisa quando toglie la mano e geme, con il bacino tutto contro il suo,
e—
«Cazzo, Basch, ma avvisare non si usa più?»
Dapprima non si muove.
Guarda Noah che inclina le labbra e corruga la fronte e quasi gli dispiace ma
anche no.
La bacia per routine, e si muove gemendo sulla curva delle sue sopracciglia,
stretto nei suoi sussulti e nei suoi respiri, affondando dentro di lui e premurandosi
di farlo senza fargli troppo male – e qualche parte fintamente razionale
nel suo cervello gli suggerisce che combaciano così per qualche principio
di uguaglianza, come se le cellule si attaccassero tutte insieme, e non fa in
tempo a pensarlo che Noah cede pian piano, con le dita avvinghiate disperatamente
contro la sua stessa erezione – è paradossale, ma Basch ci riesce
meglio, pensa, tirandoselo lentamente dentro e facendoselo pesare addosso, dopo,
quando a sciacquarglielo via dalle cosce ci pensa il fiume.
«Non ci lavo più i panni qua dentro…»
«Non ci hai mai lavato i panni… e poi è roba tua!»
Basch simula un cazzotto, mentre lo tira in piedi, e Noah scappa scrollando
le spalle.
Mio, tuo… ora come ora, importa ben poco.
~
A/N 21 giugno 2008, ore 3:59. Ultima shot della trilogia *______*! Che doveva venire molto più secca e arrabbiata e sporca che alla fine è uscita un rotolare di cuccioletti incestuosi che non è male e che *sigh* chiude una cosa che, mi costa ammetterlo, mi mancherà. Queste tre e basta con Rosencest, mi ero detta, ma diciamo che il “basta” con loro come ragazzini infoiati mi basta, come limitazione… sì, quello che state vedendo è un ghigno malefico. Temetemi, perché io mi temo. A lisachan, grazie per il supporto, l’aww, l’amore e la maledetta pairing-pulce nell’orecchio.